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«Putin vincerà, ma la nuova Russia è una realtà»
«Sta piovendo/ eppure la gente dice che Dio non esiste!»/ Così avrebbe detto nonna Varya,/ una vecchia delle nostre parti./ Adesso la gente che diceva che Dio non esiste/ sta accendendo candele nelle chiese,/ ordina Messe per i defunti,/ mentre evita le persone di altre fedi./ Nonna Varya giace nella sua tomba,/ e la pioggia ci cade sopra,/ immensa, abbondante, senza sosta,/ avanti e avanti,/ mirando a nessuno in particolare». Olga Aleksandrovna Sedakova è una delle più grandi poetesse religiose viventi. Alla fine degli anni Sessanta e durante gli anni Settanta le sue poesie erano disponibili solo sotto forma di samizdat, l’editoria clandestina dell’Unione Sovietica. Le prime pubblicazioni ufficiali risalgono al 1989. Oggi le sue opere sono tradotte in tredici lingue e i riconoscimenti vanno dal premio Schiller al titolo di Cavaliere della Repubblica francese, dal premio Puskin al premio della Santa Sede “Le radici cristiane dell’Europa”, dalla laurea honoris causa in teologia all’università di Minsk al premio della Fondazione Solzenicyn. Nell’ottobre 2009 tenne un’applauditissima lectio magistralis all’università Cattolica di Milano con lo stesso titolo di un suo libro: “Apologia della ragione”.
Rodolfo Casadei (marzo 2, 2012, www.tempi.it)
– Signora Sedakova, lei ha recentemente partecipato alle manifestazioni dell’opposizione a Mosca. Come giudica il momento che la società russa sta attraversando?

– Sta chiudendosi un’intera epoca, iniziata poco prima che Putin salisse al potere alla fine degli anni Novanta. Dal punto di vista della società e non del governo, la chiamerei l’epoca dell’indifferenza: come ai tempi sovietici, sia il popolo che gli intellettuali si erano rinchiusi nella vita privata, avevano rinunciato all’impegno pubblico. Le manifestazioni come quella di piazza Bolotnaya hanno segnato la fine dell’epoca dell’indifferenza: io parlo a nome degli apartitici e dei senza bandiera, che sono sempre la maggioranza in queste manifestazioni, e posso dirvi che ho incontrato per strada intellettuali amici o conoscenti miei che da vent’anni non partecipavano a nessuna iniziativa. Quello dei brogli elettorali è stato solo un pretesto per scendere in strada. Infatti sui cartelli di chi protestava c’era scritto: «Non abbiamo votato questi stronzi, ne abbiamo votati altri». Nessuno più da anni andava a votare perché tutti sapevamo che non sono elezioni reali, che non c’è niente da eleggere. Ma all’improvviso moltissime persone hanno manifestato l’intenzione di partecipare al voto, come se fosse una cosa seria. Perché il punto è che non c’era vera scelta, ma la pazienza è esaurita e bisognava farlo sapere. Le ragioni per protestare si sono accumulate.

– Contro cosa avete protestato, se quello dei brogli elettorali, come dice, era poco più di un pretesto?

– C’è stata una restaurazione del modo sovietico di governare il paese. Che si esprime nella “verticale” del potere, il recupero del culto di Stalin in certe trasmissioni radiofoniche, la glorificazione del passato sovietico, l’emarginazione della lettura della storia fatta da Solzenicyn e da Grossman, annullata per riproporre lo stesso quadro di prima. Poi c’è stata l’irregimentazione dei media. Non c’è più nessuna tivù indipendente, solo radio Eco di Mosca e qualche pubblicazione minore danno voce all’opposizione, ma sono sempre sotto minaccia di chiusura. Putin ha virtualmente eliminato la libertà di stampa e di riunione politica. Il sistema giudiziario, poi, è completamente dipendente dal potere. E i rapporti coi paesi stranieri sono degenerati. Siamo più isolati che ai tempi dell’Unione Sovietica, è stata risuscitata la contrapposizione con gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e il resto del mondo. Un’indagine sociologica ha chiesto ai russi quali pensano che siano i paesi amici della Russia, e la maggioranza ha risposto “nessuno”. In base ai fatti avrebbero dovuto rispondere: l’Iran; ma nessuno se la sente di ammettere che il nostro paese ha degli amici terroristi. Ecco, le ragioni politiche per protestare erano e sono queste, ma bisogna aggiungere che questa protesta non ha al suo cuore la protesta.

– La protesta non ha al suo cuore la protesta? Cosa vuol dire?

– Bastava vedere l’atteggiamento dei manifestanti: amichevole, pacifico, impressionante. Ed essenzialmente diverso da quello degli oratori. Questi ultimi sono persone di un altro tipo, di un altro stile e di un altro tempo rispetto alla massa dei manifestanti (fermo restando che anche fra questi ultimi c’erano molte differenze). Non c’è corrispondenza fra i leader e il loro pubblico. Lo slogan di quest’ultimo era: “dignità”. Ai giornalisti che li intervistavano rispondevano: «Vogliamo il rispetto. Siamo qui perché la nostra dignità è stata ferita». Questo è un sentimento totalmente nuovo, che in epoca sovietica non esisteva e che si è sviluppato nei sotterranei dei tempi di Putin. Al tempo dell’Urss la persona era interamente funzionale allo Stato, il sentimento della dignità personale non esisteva. Lo si sta scoprendo ora. Sono apparse persone che hanno imparato ad agire di propria iniziativa, senza chiedere il permesso allo Stato e senza chiedere allo Stato di agire al posto loro. Cose come il volontariato, le raccolte di fondi per aiutare qualcuno, il prendersi cura di bambini bisognosi o mettersi insieme per spegnere un incendio, da voi in Occidente esistono da almeno cento anni, ma da noi non ci sono mai state e cominciano ora. Benché il potere le ostacoli. Il senso della dignità personale va di pari passo con la propensione ad agire di propria iniziativa e a concretizzare il desiderio di fare cose buone.

– La società post-sovietica è stata finora presentata come un passaggio dal materialismo storico al materialismo consumista.

– Nell’epoca post-sovietica s’è cominciato presto a dire che non c’erano più ideali, ma che cosa s’intendeva? Il sogno sovietico contrapposto a quello hollywoodiano, la ragazza contadina che diventa responsabile di un soviet nei film del tempo di Stalin, l’ottimismo del progresso socialista. Poi tutto questo è crollato improvvisamente, e ci siamo ritrovati con la parodia del capitalismo: la competizione per la sopravvivenza camuffata da competizione per il successo. Dunque è vero che dalla fine degli anni Novanta l’obiettivo numero uno della vita è diventato quello di arricchirsi, di avere più cose. Ma oggi scorgiamo un fenomeno nuovo: la gente prova il desiderio di aiutare il prossimo, di cambiare in meglio la realtà. In modo spontaneo sono apparsi valori semplici che si traducono in comportamenti: fare qualcosa per il quartiere in cui si vive, aiutare bambini bisognosi, procurare un bene o un servizio a un mendicante. In passato si protestava contro il sistema con atti teppistici. Ricordo una donna anziana in epoca sovietica che aveva abbandonato dei materiali su un marciapiede: «Ho fatto un danno piccolo, ma ho fatto qualcosa», rispose quando gli chiesi perché. Oggi per protesta si fa il bene: si compiono atti di bontà, ci si comporta educatamente, si realizzano piccoli atti civici, per distinguersi dai potenti, rozzi e maleducati.

– Allora è la protesta della classe media dotata di coscienza morale?

– Non è stato ancora trovato un nome per la protesta, tanto che i nomi correnti sono dei peggiorativi avanzati dagli avversari. La chiamano “rivoluzione della palude”, alludendo all’etimologia della parola Bolotnaya (“bolot” significa palude – ndr), oppure la chiamano “rivoluzione di visone” perché la maggioranza dei manifestanti era vestita bene perché benestante. Si dice che quella della Bolotnaya è la protesta dei ricchi, di quanti guidano auto costose, frequentano locali dispendiosi e fanno le vacanze all’estero, si propone una contrapposizione artificiosa fra i “ricchi” e i “moscoviti” da una parte, il “popolo” e i “provinciali” dall’altra. Invece bisognerebbe rallegrarsi di questo fatto: c’è gente che non va in piazza spinta dal bisogno economico, ma per ragioni ideali. Ed è gente che si informa su internet anziché dalla televisione e dai giornali, che viaggia e parla lingue straniere e che lavora in proprio. D’altra parte, è vero che il movimento di protesta non ha un programma e non ha leader, al massimo ha qualche simpatia.

– Molti dicono che se in Russia si votasse davvero liberamente, a vincere sarebbero ancora i comunisti.

– È possibile, ma vincerebbero più per il voto di protesta che per un voto ideologico. Putin ha congelato la libertà dei media e nelle tivù pubbliche ha dato spazio ai miti neo-sovietici. È normale che chi ha come sola fonte di informazione la tivù voti comunista in buona fede. Perché la genti voti con maggiore consapevolezza ci vorrebbe una nuova glasnost dell’informazione. A cominciare dalla scuola.

– Che immagine della storia della Russia i giovani imparano a scuola?

– Abbiamo manuali di storia terrificanti. Stalin viene presentato come un manager efficiente che ha messo tutti i russi al lavoro. Per fortuna nella società cominciano a crescere esperienze diverse, che permetteranno di prendere coscienza della vera storia della Russia. Parlo dei centri locali legati all’associazione Memorial, che recuperano la memoria di tutte le vittime della rivoluzione e dello stalinismo. Prima si parlava sempre delle vittime importanti di Stalin, adesso la gente porta le foto dei nonni e racconta la loro storia.

– C’è chi dice che, anche dopo la fine del comunismo e dello stalinismo, i russi hanno bisogno dell’uomo forte per governarsi.

– Chi dice così ha ragione per quanto riguarda il passato, ma la fatalità non esiste. Adesso ci sono persone comuni e intellettuali che non hanno bisogno del pugno di ferro per lavorare e per pensare.

– Cosa succederà all’indomani delle elezioni presidenziali?

– Non penso che ci saranno mutamenti improvvisi. Se le elezioni fossero oneste, si andrebbe al secondo turno e lì dovrebbe prevalere Putin. Il problema è che oggi non c’è un’alternativa. Il mio politico preferito sarebbe Grigory Yavlinsky e il suo partito liberaldemocratico Yabloko, ma non partecipano a queste elezioni, perciò non saprei chi votare. Se si permetterà a politici indipendenti di esprimersi liberamente, una nuova classe dirigente maturerà.

– Che pensa del ruolo della Chiesa ortodossa? È molto vicina al governo, ma in un’importante intervista il patriarca Kirill ha invitato chi ha il potere ad ascoltare le critiche del popolo.

– Credo che la Chiesa ortodossa potrebbe avere un atteggiamento più libero di fronte al potere, poichè dopo la fine del comunismo ha avuto piena libertà. Allinearsi al governo è stata una decisione presa dalle gerarchie ecclesiastiche. Sta di fatto che il corpo della Chiesa non è omogeneo dal punto di vista politico. Conosco molti ortodossi che hanno preso posizione in termini critici e non sopportano la subalternità. D’altra parte sono pienamente consapevole che la Chiesa ortodossa sta appoggiando Putin e attraverso i sacerdoti chiede ai parrocchiani di votare per lui. È una scelta pericolosa, che potrebbe spingere l’opposizione verso una posizione di ostilità alla Chiesa, se non alla fede. Oggi c’è molta gente che sostiene la Chiesa ma è notoriamente immorale, e questo non fa buona pubblicità ad essa. Dentro alla Chiesa ortodossa si stanno formando due gruppi distinti: quelli che sono più ortodossi che cristiani e quelli che sono più cristiani che ortodossi. I secondi purtroppo, sono meno dei primi. Ma sono i più intelligenti, i più brillanti, i più sinceri e spesso anche i più benestanti. La Chiesa dovrebbe concentrare la sua cura pastorale su questa componente, formata da persone che fanno il bene anche se non sono praticanti regolari, anziché mostrarsi schierata dalla parte di Putin in nome della minaccia che costituirebbe per lei una nuova rivoluzione. vero che dalla fine degli anni Novanta l’obiettivo numero uno della vita
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Il mio nuovo Dante
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