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L'anima: una cosa assente
Desidero iniziare le mie riflessioni tentando di paragonare l'immagine postmoderna del mondo all'immagine moderna, o modernista. II modernismo, sia nella sua accezione teoretica che nella sua accezione artistica, pretende di non avere alcuna relazione con il progetto modernista: post qui sta a significare non tanto «risultante da», nè soltanto «dopo», ma piuttosto «senza», «completamente al di fuori». Le grandi problematiche e i grandi risultati conseguiti dal modernismo vengono ora visti dall'esterno. Per trattare le opere del modernismo, il postmodernismo e costretto a «tradurne» il messaggio in un nuovo linguaggio analitico. Sembra che tutto ciò che possiamo fare oggi con le opere di Kafka o T.S. Eliot (o di Shakespeare e Omero) sia «smontarle». II vecchio linguaggio naïve del loro immaginario non funziona più, non ci sprona a fare cose simili o migliori, a seguirlo o a contestarlo. In questa nostra era «post» siamo completamente diversi. II modernismo, nella prospettiva postmoderna, non è che l'ultimo atto della lunga tragedia della Tradizione, o della Storia. La tragedia è giunta alia sua conclusione, le luci della Storia si sono ormai spente. Abbiamo lasciato il teatro. Ora siamo fuori.

Il rapporto tra modernismo e storico era molto diverso. I modernisti si sono trovati in un momento storico unico, centrale, critico, in cui tutto il passato era presente e osservabile, come nella Divina Commedia di Dante o nelle Rivelazioni di San Giovanni. Le epoche lontane apparivano vive e esigenti. E la cosa più sorprendente era che tutto il passato era al futuro. Era presente come un nuovo grande compito creativo. «Non abbiamo ancora avuto Catullo, avremo Catullo», come ebbe a dire Osip Mandelshtam. Analogamente, T.S. Eliot e Paul Claudel individuarono il loro «passato nel futuro» nella tragedia Greca, nella poesia liturgica e nelle leggende medievali, R.M. Rilke nel divino Orfeo, Paul Celan nei salmi. I poeti modernisti non nutrivano alcun dubbio sulle loro capacità di stabilire un contatto diretto con Sofocle o Dante, di cercare la Tradizione e di trovarla, di dare e ricevere. Possiamo solo cercare di immaginare perché e quando questo libero scambio è stato interrotto. La strana modestia del postmodernismo non ci consente nemmeno di considerare la possibilità di ristabilire quest: legami spezzati. Noi siamo diversi, tutto qui.

Devo fare un'osservazione a parte. Quando dico «noi» o «ora» non mi riferisco alla società reale dei giorni nostri. Penso piuttosto al progetto postmodernista dell'attuale stato delle cose, tra l'altro alquanto grottesco. È evidente che la nostra vita non è ancora totalmente postmoderna, come vorrebbero gli intellettuali. Fortunatamente, ci sono molti «anacronismi», sia attorno a noi che dentro di noi, e questo ci aiuta a soprawivere. Questi elementi «fuori moda» ci danno un po' di calore, un po' di respiro, nel gelo artico dell'immaginario postmoderno. Dopo aver visto una nuova «installazione» degli «oggetti» ci si può guardare intorno con grande stupor: la più comune routine quotidiana non sembra poi un inferno, come hanno voluto farvi credere! È notevolmente più positiva! E allora perché la «nuo va onestà» la odia così tanto? Mi sembra che l'immagine postmoderna dei giorni nostri non sia affatto realistica: non descrive i fenomeni, piuttosto li proietta. Perché trascura qualsiasi cosa che non possa essere ricondotta alls parodia o alla satira?

Ma ora lasciamo da parte i nostri ingenui interrogativi e torniamo all' analisi comparativa. La tradizione, nella percezione modernista, si apre quale Inizio perpetuo: diventare tradizionale significa trovare la propria strada per raggiungere le prime cose (o le ultime, il significato è lo stesso), alla sorgente della creatività. Per questo i modernisti attaccavano i loro padri (o i loro nonni), i rappresentanti del tardo realismo, con tale ferocia. Ai loro occhi, il tardo realismo ha perso il significato di Inizio, cioè il senso della tradizione. Ad esso mancava l'innata sete di nuovo e future della tradizione.

Oggi non si parla più di nuovo o di future, se non con una certa ironia Tutti sanno (come lo sapevano gli Ecclesiastici) che non c'è nulla di nuovo sotto il sole. E il futuro sembra essere esaurito prima ancora di arrivare Ogni futuro (personale, sociale, artistico) è già passato. E, cosa ancora più importante, non sembra esserci più alcun desiderio di futuro.

Possiamo quindi formulare la prima contrapposizione tra modernismo e postmodernismo:

Modernismo: II passato è presente in attesa del suo futuro.
Postmodernismo: II futuro è già passato.

Ma possiamo continuare ad elencare queste contrapposizioni:

Modernismo: L'artista deve scoprire un linguaggio nuovo, autentico. Dobbiamo creare nuove forme, più reali di quelle di cui disponiamo oggi. È necessario ottenere una nuova e più profonda armonia. Linguaggio e Forma possiedono il potere per salvare l'universo, la storia e gli esseri viventi. «Il tempo venera il Linguaggio» (Auden).
Devono esistere segni che abbiano una motivazione profonda e una vera forza creatrice, «le parole che riescono a vedere le cose» (Velimir Khlebnikov), simboli reali.

Postmodernismo: II linguaggio è una potenza tirannica e violenta, una struttura repressiva. Non dischiude il mondo, lo rinchiude. I segni sono convenzionali e vuoti. Giochiamo con questi segni vuoti per renderli ancora più vuoti, ancora meno simbolici.

Modernismo: Il mondo degli oggetti non esiste più, tutte le forme solide precostituite sono «fuse», dissolte in «un oceano di sostanza» (Mandelshtam), energia pura, elan, essenza, soggettivita universale (cfr. «Sorella mia la vita», B. Pasternak). La nuova morfologia deve essere in grado di descrivere l'eterna metamorfosi dell'essere. Il mondo deve essere colto nel suo stato apocalittico, dove la fine coincide con l'inizio. «Nel mio inizio è la mia fine» e vice versa. Lo stesso vale per l'indagine del nostro mondo interiore.

Postmodernismo: Esistono solo oggetti, e ancora oggetti; forme artificiali precostituite e i loro frammenti. Esistono in quanto entità già morte o morenti. L'energia e la dinamica le hanno abbandonate per sempre. Noi, prima soggetti, ci trasformiamo sempre più in oggetti.

Modernismo: L'umanità si trova di fronte ad un abisso anonimo che difficilmente può trovare espressione nei termini religiosi o filosofici tradizionali, troppo razionali per rendere giustizia alia nuova esperienza. Solo le immagini più strane e assurde (metafore) possono farlo.
Siamo alla disperata ricerca del centro assoluto, tutto ciò che è periferico non ha più alcun valore. Tuttavia, il centro è dinamico e può trovarsi ovunque.

Postmodernismo: L'abisso non verbale non è che una vecchia illusione. Il mondo ha più di un centro: è decentrato, non ha centro alcuno. Sotto la superficie troviamo un buco nero colmo di Nulla (o, più correttamente, di nullità). Abbiamo un'unica possibilità di scelta: rimanere sulla superficie, che si fa sempre più sottile (secondo le esigenze dell'era industriale e della cultura pop), – oppure comunicare a ripetizione con il nostro buco nero (come fanno gli artisti dell'élite postmodernista). A livello superficiale troviamo il valore assoluto del Successo, nella nostra antiprofondità il sentimento del più grande Fallimento che la storia abbia mai conosciuto.

Ammetto che questa mia analisi può sembrare semplicistica e schematica. Sono molte le cose che si potrebbero dire sul rapporto tra modernismo e postmodernismo. Ma risulta chiaro, in conclusione, che tutte le caratteristiche del postmodernismo sono la negazione più diretta delle aspirazioni moderniste. Quasi esso fosse una sorta di malessere che segue l'entusiasmo sovreccitato dell'alto modernismo, o uno stato di shock postumo, una profonda depressione.

Tuttavia non credo che la natura del rapporto tra postmodernismo e modernismo sia esclusivamente di carattere cronologico o causale. La situazione è più complessa. I due movimenti, dal mio punto di vista, hanno la stessa età (il che ci spiega, tra l'altro, perché il postmodernismo sembrava così vecchio e stanco fin dalla sua apparizione). II postmodernismo, quale Weltanschauung, stato d'animo, legame di sensibilità e atteggiamento umano, rappresenta una delle due componenti del mondo dualistico del modernismo: la componente negativa. Riconosciamo le caratteristiche del postmodernismo negli «uomini vuoti», nei cittadini di Hammeln di Marina Tzvetajeva, nell'antagonista dell'eroe di «Assassinio nella cattedrale», nella «saggezza dei vecchi» dei «Quartetti» di Eliot, nei «volgari» di Vladimir Nabokov, ecc, ecc. Le ritroviamo ogniqualvolta i poeti modernisti descrivono il loro nemico: un essere umano perfettamente integrato nella società, privato della facoltà di creare e apprezzare la realtà, addirittura incapace di un qualsiasi contatto con essa. Gli antagonisti prendono il soprawento sugli eroi tragici e cessano di essere semplici figure satiriche. Poiché l'appassionato monologo delle liriche moderniste tace (il suo silenzio può essere fatto coincidere con la morte di Paul Celan), la voce della sua controparte diviene l'autoritaria voce guida della cultura pubblica come se le ultime parole della tragedia di Amleto venissero pronunciate da Polonio.

Nei titolo di questa mia relazione ho chiamato anima la cosa oggi assente. Potremmo chiamarla anche «la personalità centrale», o, come la definì Simone Weil «L'essere la cui manifestazione nella cultura secolare è l'arte della poesia». L'essere traumatico, intimorito, chiuso in se stesso e problematico delle opere postmoderniste non ha nulla in comune con l'essere poetico di Simone Weil. Le liriche che esso produce sono troppo simili ad una confessione privata, che non può essere rivelata. «Das Song ist Dasein», scriveva Rilke, cioè «Il canto è essere», e continuava «Ma quando siamo veramente?». Questo interrogativo ci introduce al concetto modernista di personalità.

Come tutti sappiamo, il modernismo comincia all'epoca della cosiddetta crisi della personalità, e conseguentemente deve occuparsene. II programma rivoluzionario del nuovo Atto Impersonale, formulato da T.S. Eliot è riscontrabile praticamente in tutti i poeti di quel periodo. La «poesia personale», cioè la poesia delle riflessioni e delle emozioni individuali, è stata distrutta dalla «psicologia oggettivista» del diciannovesimo secolo, che la sosteneva. Non tutti gli aspetti della vita psicologica venivano considerati reali e degni di essere espressi, ma era importante il coinvolgimento nelle cose di carattere universale, come l'essere in sé, che non poteva essere percepito né attraverso le emozioni private quotidiane, né attraverso questo tipo di riflessioni. L'assoluta passività dell'attenzione e l'assoluta attività della forma erano le strade verso il necessario e l'ignoto. Un poeta modernista sposava una sorta di disciplina ascetica: «purificare le sue motivazioni» (che lo spingevano a scrivere), secondo Eliot. II che significava depurare la propria opera da qualsiasi aspetto autobiografico, diventando tutti e nessuno. II nostra vero Io, il nostra vera essere, non è innato in noi, non ci viene donato insieme all'anima e al corpo. Può essere raggiunto solo con l'estasi – o il sacrificio. La grande sete di sacrificio alimentava il fuoco delle liriche moderniste. L'anima è morta o assente, se non estatica, queste sono le fondamenta psicologiche sulle quali si basa il modernismo. Esso ha ridotto drasticamente il volume dell'essere vero e dell'esistenza al punto di massima intensità. Un'avventura ambiziosa: qualsiasi cosa venga dopo questa esperienza deve sembrare «buio, buio, buio», vuoto, insignificante, morto.

Questo «qualsiasi cosa» non è altro, in ultimo, che l'eredità del modernismo al postmodernismo. II tema più intimo rimane la privazione dell'estasi.
Traduzione di Beatrice Bellini
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